Che cosa è la legalità?
Molti sottoscriverebbero la seguente definizione in ordine al concetto di “cultura della legalità”: il ripudio di qualunque disvalore sociale e la responsabile assunzione di comportamenti volti all’osservanza delle norme e delle discipline imposte a tutela della civile e pacifica convivenza di tutti i consociati”.
Dalla suddetta definizione, quindi, potremmo conseguentemente far discendere l’equazione: “cultura della legalità” = mera osservanza delle norme che compongono nel suo insieme l’ordinamento giuridico dello Stato democratico e di diritto.
Definizione senza dubbio corretta ma che pone intrinsecamente un insormontabile problema di ordine pratico e materiale.
Le leggi che compongono l’ordinamento giuridico di uno Stato, infatti, sono migliaia e migliaia, addirittura centinaia di migliaia se si pone mente che, ad esempio, in Italia - secondo un calcolo approssimativo - le leggi oggi in vigore si attesterebbero – sembra - sull’ordine di circa 120.000. Talmente tante leggi che risulta difficile, se non addirittura impossibile, calcolarne l’esatto numero!
A ciò aggiungasi, inoltre, che il testo delle leggi, per la tecnica di formulazione legislativa usata, spesso è ermeneutico, oscuro e di difficile comprensione anche per gli specialisti di quella determinata materia: i c.d. “addetti ai lavori”. In alcuni casi, poi, esiste una duplicazione di norme contraddittorie contenute in leggi diverse che disciplinano la stessa fattispecie; in altri, esistono vuoti normativi: casi e/o situazioni, cioè, che non sono disciplinate da alcuna norma di legge.
Quindi, come sarebbe materialmente possibile conoscere tutte le leggi in un dato momento storico in vigore per rispettarne le prescrizioni, i divieti, gli obblighi in esse contenuti? In definitiva, riportandoci all’equazione innanzi considerata, come potrebbe imporsi un comportamento zelante e costantemente votato allo scrupoloso rispetto di tutte le norme, colui che volesse perseguire la “cultura della legalità”?
Eppure il concetto di “cultura della legalità” è imprescindibilmente connesso a quello di osservanza della norma.
Ecco, allora, a giudizio di chi scrive, che la chiave di volta per risolvere l’impasse consiste nell’individuare una legge suprema ed assoluta, il conformarsi alla quale - in maniera potremmo dire assorbente - comporti l’automatico rispetto delle altre leggi, anche di quelle che non si conoscono e probabilmente non si conosceranno mai.
Ed in che cosa consisterebbe questa legge suprema ed assoluta?
Cito, a tal riguardo, le bellissime parole, tratte da “La critica della ragion pratica” del grande filosofo tedesco, Immanuel Kant, e che sono trascritte come epitaffio sulla sua tomba:
“Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.
La legge morale, dunque.
La legge morale come complesso di principi e di valori etico – morali che per ius naturale sono patrimonio spirituale ed interiore di ogni essere umano, a prescindere dalla razza, dal sesso, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle tradizioni culturali.
È nell’intima e più profonda essenza dell’uomo che alberga la legge che consente, nell’agire quotidiano, la distinzione del bene dal male; del lecito dall’illecito; di ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, di ciò che è vero da ciò che è falso.
E’ il possesso di questa legge che costituisce il tratto distintivo che caratterizza gli esseri umani, differenziandoli dagli appartenenti al resto del mondo animale.
E’ la legge morale la bussola che orienta l’agire umano al bene, al rispetto degli altri, al rispetto della libertà e dei diritti degli altri, al rispetto della vita e della dignità degli altri, al rispetto delle cose e delle opinioni degli altri.
È la legge morale che fin dalla più tenera età e dalla presa di coscienza della propria ragione traccia il cammino di ogni uomo sulla via del bene, della verità e della giustizia.
Per essere cultori della legalità è, perciò, sufficiente l’osservanza di questa semplice legge, che non si impara sui banchi di scuola, che non è codificata in testi scritti, che non è tramandata da generazione in generazione, che non deve esserci insegnata da nessuno, perché è già dentro di noi fin dalla nascita, come software donatoci dalla natura umana, in virtù della nostra appartenenza al genere umano.
Quanto scritto nel codice civile o penale risulterebbe, perfino, superfluo se ogni uomo riscoprisse la bellezza, l’importanza ed il valore fondante della legge che si porta scritta dentro di sé nei reconditi meandri della propria coscienza e che è il sostrato sul quale poggiano la dignità di essere e di dirsi: un uomo e la fierezza di percorrere i sentieri, a volte tortuosi ed impervi, della vita camminando sempre a testa alta.
La “cultura della legalità”, quindi, non deve essere limitata o circoscritta alla sete di conoscenza del diritto o all’accademico studio delle norme di legge; essa richiede, piuttosto, un viaggio introspettivo che porti ogni uomo alla riscoperta della matrice della sua dignità ed alla consapevolezza, finalizzata alla sua valorizzazione, di quel tanto di buono e di bello che c’è dentro ciascuno di noi, per la definitiva e completa affermazione della nostra condizione di superiorità sul resto della creazione, che la legge morale ci attribuisce per nascita.
le riflessioni degli autori .......... la cultura della legalità (giuseppe)
Pubblicato da
niko
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08:57
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